LO SPORT. PER TORNARE A VIVERE
La storia di una squadra di Rugby nata all’interno di un carcere
I Bisonti nascono le 2013 da una collaborazione tra ASI e Gruppo Idee (associazione di volontariato che opera negli istituti penitenziari) all’interno della Casa Circondariale di Frosinone nel reparti di alta sicurezza. Vista l’ottimo risultato la squadra viene iscritta al campionato regionale della Federazione italiana Rugby e partecipa per 4 stagioni sportive con la deroga per giocare tutti gli incontri “in casa”, tra l’altro anche con buoni risultati in classifica. Il progetto purtroppo viene interrotto al carcere di Frosinone, per problematiche interne all’Amministrazione penitenziaria, ma è oggi tornato attivo presso la Casa Circondariale di Rebibbia a Roma, dove sono stati riscontrati gli stessi risultati per la partecipazione e l’impegno. Il rugby è un importante strumento dal punto di vista trattamentale/educativo per il percorso delle persone detenute. Questa è la storia dei Bisonti…
All’interno di quelle mura
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L’attività fisica porta ad un processo di ri-educazione attraverso le discipline sportive. Rappresenta anche un elemento positivo per contribuire non solo al mantenimento di uno migliore stato della salute psico-fisica, ma contribuisce al miglioramento della convivenza intramuraria, abbassando il livello di tensione. In questo senso le attività sono pensate ed organizzate in modo da essere “strumento educativo”, un mezzo attraverso il quale lavorare sulle relazioni, sulle regole e sui valori, sul significato della sconfitta e della vittoria e sulla “gestione delle frustrazioni”.
Lo sport diventa uno strumento utile per il recupero delle persone detenute. |
La magia dei ricordi
Il progetto dei Bisonti nasce nel 2012. All’epoca c’era solo un altro istituto in cui si praticava il Rugby, quello di Torino (ad oggi sono una quindicina) ma Frosinone era il primo (e per ora è rimasto l’unico) in cui era coinvolto il circuito di alta sicurezza dove la detenzione è sicuramente più dura e le attività molto ridotte. Il Presidente di quella squadra era allora ed è ancora oggi, Germana De Angelis.
Germana, raccontaci questa bella avventura? “Grazie alla disponibilità e dell’allora Direttore della Casa Circondariale di Frosinone, Dr.ssa Luisa Pesante che riaprì il campo sportivo alla popolazione detenuta dopo due anni di chiusura: da qui l’idea di provare a portare il rugby, con la convinzione che attraverso i valori di lealtà, rispetto delle regole dei compagni, degli avversari e dell’arbitro e per il gioco di squadra in cui prevale il gruppo rispetto al divismo del singolo, potesse essere un utile strumento per la riabilitazione ed il reinserimento di coloro che si sarebbero messo in gioco. L’idea venne al Responsabile ASI per le attività in carcere, Luigi Ciavardini che, con l’Associazione Gruppo Idee, opera all’interno degli istituti di pena mediante progetti di formazione, sportivi e culturali mirati al reinserimento e al recupero delle persone detenute”.
Quei primi momenti… “Da Frascati arrivarono giocatori come Claudio Monacelli, Ersilio Bargelli, Stefano Teotino, Leonardo Di Luia che si alternarono per portare quell’oggetto sconosciuto che era una palla ovale. Dopo un primo anno di formazione durante il quale sono state svolte delle partite amichevoli con squadre esterne, si arriva alla decisione di fare un salto e di iscrivere la squadra al campionato regionale Serie C. ‘La direzione è d’accordo a fare il campionato e te ne occuperai tu…’. Ancora non ho capito se sia stato un regalo o una trappola: sta di fatto che, dopo la nascita dei miei figli, è stata ed è sicuramente l’avventura più incredibile della mia vita. Non era sufficiente la mia passione e il mio attaccamento familiare al rugby”.
Come nasce il nome della squadra? “Si rese necessario costituire una associazione sportiva, di cui sarei stata e sono con orgoglio il presidente, e dare un nome alla squadra. In vista di uno dei primi incontri si chiese se qualcuno avesse voglia di provare: si offrì un omone gigantesco. Gli dissero che l’unica cosa che doveva fare era prendere la palla e portarla dall’altra parte senza curarsi di altro e lui lo fece con una tale determinazione che qualcuno disse ‘questo è proprio un Bisonte’. Quindi, quando si è trattato di trovare un nome alla squadra, la scelta è stata facile. E questa era la parte meno complicata! Si dovevano naturalmente tesserare gli atleti, ma allo scadere dei termini per presentare la squadra, da parte dell’Amministrazione penitenziaria arriva un alt perché molti di loro erano ancora giudicabili quindi i dati erano riservati… Grazie alla disponibilità del segretario Generale della FIR Claudio Perruzza viene fatta una determina ad hoc per tesserare gli atleti con degli alias: tra i nostri tesserati si può trovare anche Giuseppe Mazzini”.
Anche la Federazione Rugby si rese disponibile. “Si, ci regalò la prima muta di maglie e qualche pallone per iniziare. I ragazzi scelsero colori sociali, bianco e rosso e successivamente abbiamo la nostra prima maglia ufficiale con tanto di logo regalataci dai fratelli della Namau”.
Altro problema la sistemazione del campo. “Già… Un campo di pozzolana con mezzo metro di fango quando pioveva e duro come un parcheggio quando era asciutto. Molti ne portano ancora i segni, ma era il nostro campo. Per la questione del terreno non potevamo farci niente. Ma si dovevano sistemare i pali secondo le misure federali. In un pomeriggio estivo con 40 gradi all’ombra io e un piccolo gruppo di detenuti, autorizzati per l’occasione, con l’ausilio di una piccola pala, delle nostre mani e di un paio di bottiglie di plastica per prendere l’acqua alla fontanella per bagnare la sabbia, abbiamo lavorato qualche ora per spostare e fissare i pali (che erano stati fatti con dei vecchi pali della luce). Mi è rimasto impresso di come fossero bloccati a fare anche pochi passi senza chiederne autorizzazione, chiedevano il permesso per andare a riempire le bottiglie alla fontanella (ce ne saranno volute 100!) ma allo stesso tempo erano felici di potere stare all’aria aperta”.
Anno sportivo 2013/2014 inizia la grande avventura guidati dalla professionalità del tecnico Alejandro Villalon e da tre giocatori “liberi” che si erano offerti di dare un aiuto… “E che, da allora, non hanno vestito nessun’altra maglia… Ricordo ancora con un senso di terrore e di angoscia la compilazione della prima lista gara, l’emozione della prima partita. I Bisonti hanno realizzato solo una meta ma era come se avessero vinto i Mondiali. Per ogni partita era necessario inviare la lista dei partecipanti delle squadre esterne per avere l’autorizzazione da parte della Magistratura e, tutti, hanno dimostrato una grande disponibilità. Una volta avuta l’autorizzazione, pure l’accesso non è certo una questione di minuti. Bisogna passare al controllo dei documenti, alla perquisizione e al passaggio di numerosi cancelli. Però, dopo il riscaldamento in campo, il resto è solo Rugby: è come se per un paio d’ore le mura non ci fossero più”.
Nel 2013 i Bisonti hanno ricevuto il premio CONI Lazio per la migliore società sportiva dell’anno. “Per quattro stagioni sportive i Bisonti hanno partecipato al campionato, con tre allenamenti settimanali, con la deroga di disputare tutte le partite in casa, con discreti risultati, con molte partite vinte e con ottimi risultati dal punto di vista umano. Tra le più grandi soddisfazioni i complimenti di molti arbitri per la correttezza del comportamento in campo, il risultato di un lavoro di squadra e di un consolidamento nei rapporti che ha dato forza al gruppo. Il timore di potere perdere quello che con tanta fatica si era conquistato, una passione forte”.
Tanta la popolazione carceraria coinvolta. “A conclusione di ogni partita il tradizionale terzo tempo. Per coinvolgere un maggior numero di detenuti nel progetto, a turno veniva autorizzato un gruppo a preparare da mangiare per tutti. Momenti che sono rimasti nella memoria e nel cuore di molti. Dopo la partita docce per gli ospiti, saluti e abbracci e poi i Bisonti tornano in sezione. Ci sono due frasi fra le tante che danno il senso di quello che significa per un detenuto partecipare a questo progetto: ‘Quando scendo al campo il carcere è come se non esistesse, mi sento come se fossi libero, penso solo alla partita…’ e ‘Nella vita è la prima volta che non mi devo guardare le spalle, perché so che dietro di me ho un amico che è li per sostenermi’”.
Nel marzo del 2017, a causa di un’evasione, vengono sospese tutte le attività, tra cui anche il campionato. “Ma, nel 2018 è nuovamente ripartita l’attività, stavolta nel carcere di Rebibbia a Roma dove, però, non abbiamo trovato le stesse condizioni per potere fare una attività federale. Il campo, piccolo ma, nonostante questo, la passione dei partecipanti è stata la stessa; guidati pazientemente dall’allenatore Stefano Scarsella, che era già subentrato a Frosinone il secondo anno, si svolgono incontri amichevoli. L’anno scorso è stata fatta una partita presso il campo esterno. Per l’occasione qualche detenuto ha avuto un permesso per partecipare. Ospite d’onore il capitano della Nazionale Sergio Parisse. Contestualmente, per mantenere il posto in campionato in attesa di una possibile ripresa del progetto, i Bisonti continuano ad essere partecipi con una squadra di giocatori ‘liberi’ che vestono la maglia ‘in prestito’ con l’obiettivo di riconsegnarla al più presto agli amici di Frosinone e di essere una casa per quanti usciranno e vorranno proseguire nella loro crescita sportiva. Qualche mese fa è stato raggiunto un grande risultato: uno degli atleti di Rebibbia è stato autorizzato a partecipare una volta alla settimana agli allenamenti esterni dei Bisonti. Con un permesso speciale esce alle 19 per recarsi al campo e rientra in carcere alle 23: ha fatto il suo esordio nell’ultima partita di campionato di questa stagione sportiva”.
Il rugby, lo sport… Come strumento di reinserimento per la ricostruzione di una nuova vita…
La visita di un campioneSergio Parisse a Rebibbia. Giugno 2018. Ma non sarà per l’ultima volta… “Gli ho promesso che tornerò”. Il Capitano della Nazionale racconta di aver vissuto una giornata di grandi emozioni: “Alla fine ero più io curioso di conoscere meglio i ragazzi. Sappiamo che se sono lì hanno commesso degli errori, ma ti rendi conto che progetti come questo dei Bisonti possono contribuire a mettere le persone in grado di procurarsi una seconda possibilità, frequentando un bell’ambiente, ricco di valori. Sono ragazzi che comunque soffrono lontani dai loro affetti e che in quei momenti vivono un briciolo di normalità. E il rugby è un percorso ideale, perché crea legami che durano nel tempo e che si fondano su sostegno, amicizia, senso d’appartenenza”. “La cosa più bella è stata vedere fuori dalla rete tutta la gente: fidanzate, mogli, figli, famigliari. Anche se non conoscono tutti perfettamente tutte le regole, sono stati motivatissimi e felicissimi per l’occasione che gli è stata data. Io mi sono limitato da fare il waterboy e il guardalinee, alla fine ho smistato pizzette e panini”. E consigli? “C’è stato un momento in cui Antonio, il numero 10, si è fatto intercettare un passaggio e i compagni si sono lamentati un po’ troppo, allora io li ho richiamati all’ordine: gli ho detto di mantenere la calma e pensare a segnare una meta”. Non si smette davvero mai di fare il capitano… |
SCATTI NELLA STORIA.
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