07.10.2021

Sportivando

Ministero si, Ministero no

Dalla rivista Primato, ottobre 2021. 

È tempo di cambiamenti, di restituire allo Stato i compiti dello Stato. Anche nello Sport.
È tempo di una rivoluzione culturale

La vittoria nei 100 metri di Marcell Jacobs è la metafora di quanto sta accadendo allo sport italiano. Meno di dieci secondi, un lampo che ha colorato il mondo di azzurro, improvvisamente. Ma, per citare un film di qualche anno fa, viene da dire‘Sotto il vestito niente’’ o, quantomeno, non tutto quello che è stato propinato a livello mediatico complici suntuose dichiarazioni di parte. La spedizione olimpica, come abbiamo già avuto modo di dire, paradossalmente non ha fatto altro che coprire la situazione in cui versa lo sport italiano che non è solo quello di Jacobs o di Tamberi, o delle principesse della velocità paralimpica. Perché, come giustamente ricordato dal Presidente della federazione del basket, Gianni Petrucci, la situazione è drammatica a livello di base. Proprio il basket ha perso 70.000 bambini, il volley 80.000, e questo è il chiaro segnale di un sistema distorto, che ha urgente bisogno di ristrutturarsi. A partire dal dibattito sul Ministero dello Sport.

Quei nodi irrisolti dello Sport italiano
Il primo passo in avanti è stato compiuto nel 2018 quando la legge Finanziaria ha restituito allo Stato parte delle sue funzioni e al CONI quelle più strettamente legate alla preparazione olimpica. Ora bisogna proseguire su questa strada che, anche taluni recalcitranti attori in campo, hanno capito essere probabilmente a senso unico. Tanto è vero che pure il Presidente del CONI, Malagò, ha parlato favorevolmente di Ministero. Ma, aggiungiamo noi, che sia a pieni poteri a partire dal “portafoglio”! Ove così non fosse, saremmo di fronte a una sorta di escamotage, una mano di vernice a un palazzo che dall’interno sta cadendo a pezzi e che, forse, all’esterno sembra ancora possedere un certo fascino. E chi ne fosse detentore, avendo molto meno potere di gestione amministrativa rispetto ad un ministro con portafoglio, di fatto finirebbe per riaffermare un ruolo troppo centrale del CONI. E si finirebbe per confondere due entità che non sono e non possono essere sovrapponibili. Il Ministero dello Sport non potrà mai essere il CONI, e solo non cadendo in questo equivoco può essere riformato il comparto. Divisione dei compiti, non sovrapposizione e tanto meno contrasto. Superando un concetto durato tanti, troppi anni, che allo sport ci debba necessariamente pensare il mondo dello sport in una sorta di circolo chiuso, totem su cui ha retto una politica autoreferenziale per la quale anche solo parlare di Ministero dello Sport, equivaleva a far venire l’orticaria a certi ambienti.

La gestione dei soldi pubblici
Il CONI, peraltro, rivendica storicamente il diritto di gestire i soldi che gli arrivano dalla Stato. Ma, ricordiamo: sono soldi pubblici, e lo Stato ha non solo il diritto, ma anche il dovere e la responsabilità, di decidere quale debba essere la loro destinazione, illustrando un programma di governo dello sport, della salute e delle politiche sociali. Ben vengano dunque le quaranta medaglie, fermo restando che un colosso dello sport come gli Stati Uniti (non proprio latitante in quanto a podi olimpici), non riceve lo straccio di un dollaro, mentre in Italia gli organismi sportivi sono tra i più finanziati al mondo.

Un Ministero dello Sport. Lo vuole lo Sport di Base
A chiedere un Ministero è chi, veramen- te, ha a cuore una rivoluzione culturale e un progetto visionario per il nostro Pae- se. Lo vuole anche lo Sport di base, già duramente provato da una pandemia che è ben lungi dall’aver esaurito i propri effetti devastanti sull’intero sistema. Un mondo letteralmente stremato non può continuare a ricevere segnali sconfortanti di quanto lo sport non sia veramente una priorità. Anche i soldi del Recovery Plan, che arriveranno dall’Europa, andranno investiti nel modo più idoneo da un Ministero che sappia indirizzarli su progetti di sviluppo dello Sport che, come ampiamente dimostrato dalla let- teratura scientifica, è in grado di prevenire patologie pericolose quanto costose per la collettività.

Insomma, lo Stato torni a fare lo Stato anche nelle politiche sportive.

A partire da quella cultura del movimento che deve essere patrimonio primario dei nostri giovani e, in questo senso, prendiamo ancora a prestito una frase di Petrucci: “Pensate cosa saremmo se avessimo lo sport nelle scuole come negli altri Paesi: altro che 40 medaglie alle Olimpiadi…”.
Giusto. Non esiste solo Marcell Jacobs. Esistono anche i tanti ragazzini e ragazzine che sognano di emularlo. A Desenzano, allo stadio dove il velocista ha mosso i primi frenetici passi a pochi anni di età, la pista di atletica è ridotta in condizioni penose e per la prima volta, da oltre trenta anni a questa parte, è rimasta inutilizzata. Insomma, c’è ancora chi, quando il saggio indica la luna, guarda il dito. Lo sport va riformato partendo dalle fondamenta, perché altrimenti, tra 20 anni, anche il decimo posto nel medagliere, sarà solo uno sbiadito ricordo.

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