26.11.2023

A tu per tu

Luigi Busà: il ‘Gorilla d’avola’ entrato nella leggenda olimpica

Il Karate ti insegna che non si perde mai, si impara sempre da una sconfitta…

di Federico Pasquali

Se dovessimo pesare una medaglia d’Oro olimpica il risultato sarebbe sempre lo stesso. Ma nell’immaginario collettivo ci sono medaglie che hanno un peso specifico differente, come ad esempio quella di chi vince i 100 metri piani. Poi si attribuisce un significato a volte anche superiore quando, in una specifica edizione dei Giochi olimpici, viene inserita nel programma una disciplina sportiva simbolo di quella nazione. In questo caso tutti si aspettano che a vincere la medaglia d’oro sia un atleta di casa. Poi si arriva all’ultimo grado, quello della disciplina nata in una nazione, praticata in e da tutta la nazione, entrata nella cultura e nella tradizione di quella nazione. In questo caso chi vince la medaglia d’oro entra di diritto nella leggenda olimpica.

All’ultima edizione dei Giochi olimpici estivi, a Tokyo, il karateka azzurro Luigi Busà, nato ad Avola, città nota per il vitigno autoctono Nerello d’Avola dal quale si produce un eccellente rosso, ma anche per la laboriosità dei suoi cittadini, come rimarcato dalle tre api presenti sullo stemma della città, è entrato nella leggenda olimpica. L’ascesa nell’olimpo è arrivata il 6 di agosto del 2021, giorno della gara della categoria di peso -75kg nella specialità kumite, ossia il combattimento. Dalle 17 alle 21, il nostro Busà ha dominato la scena nell’arte marziale inventata dai giapponesi. Nel primo round ha superato in sequenza l’australiano Tsuneari Yahiro, il tedesco Noah Bitsch e l’azero Rəfael Ağayev, in semifinale ha regolato l’ucraino Stanislav Horuna e nella gara per l’oro ha di nuovo battuto Ağayev. Alla soglia dei 34 anni, Luigi Busà è diventato leggenda.

Partiamo dalle origini. Cosa ti ha spinto a praticare il Karate? “La mia famiglia, soprattutto mio papà che è stato il mio primo maestro. All’età di quattro anni invece di portarmi al parco mi faceva divertire sul tatami della sua società sportiva, il Centro Arti Marziali Avola. Io mi rotolavo con gli altri bambini che erano più grandi. Cerano anche le mie sorelle più grandi e mi accodavo a loro. Insomma, sono entrato nel dojo per gioco e poi mi sono innamorato perdutamente del Karate”.

Quando hai capito che il Karate sarebbe stato lo sport che ti avrebbe potuto far diventare un campione? “Da bambino lo prendevo sempre come un gioco. Poi ho iniziato a fare e prime gare, dai Giochi della Gioventù a quelle locali nelle categorie giovanili, arrivando verso i tredici anni a gareggiare a livello regionale. A quell’età ero sovrappeso, pesavo novantasette chilogrammi, ma comunque ero agile e rapido tanto che vinsi il titolo italiano tra i cadetti nei pesi massimi contro un avversario di due metri. A quel punto capii che avevo la possibilità di poter vincere anche a livello internazionale, ma dovevano cambiare le cose al riguardo del mio peso. Dovevo arrivare ad un fisico atletico e parlando con lo staff della nazionale, mi hanno indirizzato nella strada giusta: sono sceso a settantacinque chili e ho deciso che sarei diventato un agonista vero”.

Le tre cose più importanti, a tuo giudizio, che insegna il Karate? “La prima è il rispetto, quel senso del dovere nel rispettare chi è più grande di te anche in termini di anzianità di pratica della disciplina, che poi si tramuta nella vita quotidiana nel rispetto di tutte le persone, quindi insegna educazione e disciplina. La seconda è quella di saper affrontare tutte le difficoltà senza mollare mai, accettando di buon grado le vittorie quanto le sconfitte, perché il Karate ti insegna che non si perde mai, si impara sempre da una sconfitta. La terza è il senso di comunità che provi nel praticare ogni giorno questa disciplina nel dojo, e questo vale in assoluto non solo per chi fa agonismo. Questo senso di comunità consente al karateka di andare a sette marce e non a sei nella vita”.

Quanto lavoro c’è dietro ad un karateka che si qualifica per i Giochi olimpici? “Io ho iniziato a quattro anni e ho vinto la medaglia d’oro olimpica a trentaquattro, quindi togliendo anche i primi anni in cui in palestra non mi allenavo da agonista, diciamo che ci sono più di venti anni di rinunce e sacrifici, anche se a me non piace parlare di sacrifici perché è stata una mia scelta quella di essere un atleta. C’è un percorso lungo fatto di alti e bassi, fisici e mentali. Nel dettaglio dell’evento olimpico di Tokyo, poi, per qualificarsi ci sono stati ventiquattro tornei pre-olimpici in tutti i continenti nei due anni e mezzo precedenti. Immaginate affrontare i fusi orari, e fare la dieta per arrivare al peso giusto, tornare, ricominciare i carichi di lavoro, poi di nuovo dieta, riparti per un altro torneo in un’altra parte del mondo. E ogni gara la dovevi vincere o comunque andare a podio, perché si qualificavano direttamente i primi quattro del ranking per categoria, con almeno ottanta-novanta atleti a gara immaginate le difficoltà. Poi era la prima volta del karate all’Olimpiade e nessun atleta voleva perdersi l’appuntamento, quindi erano tutti carichi in ogni gara. Io ne ho saltata una sola per un infortunio, poi sono andato a podio in venti delle ventitré gare di qualificazione. Non ho avuto tempo nemmeno di godermi una vittoria e la vita privata poi ne ha risentito molto: per me il 2021 è stato davvero duro a livello personale. Ecco, dietro una qualificazione olimpica c’è tutto questo, ma in pochi lo vedono”.

Dopo la vittoria dell’Oro a Tokyo cosa è cambiato nella tua vita? “Nella mia vita non è cambiato molto, salvo una notorietà acquisita anche al di fuori del Karate e qualche piccola entrata economica extra. Dopo questa esperienza ho riflettuto sul fatto che in futuro vorrei lavorare per portare maggiore notorietà e economie a questo e a tutti gli altri sport da combattimento. A livello personale però è cambiato qualcosa perché ho esaudito il sogno che avevo da bambino, quando vedevo vincere Pino Maddaloni, Clemente Russo e miti come Phelps o Bolt e mi dicevo che come atleta non avevo nulla di meno e se un giorno il karate sarebbe diventata disciplina olimpica avrei vinto l’oro come loro”.

Quanto è importante per un atleta di grande livello far parte di un gruppo sportivo militare come il Centro Sportivo Carabinieri? “Di più. Per noi atleti di sport di nicchia, far parte di un gruppo sportivo militare ci consente di stare tranquilli nello svolgere al meglio il nostro lavoro, sia perché grazie a loro abbiamo uno stipendio fisso sia perché ci fanno condurre nella pratica una vita da atleta. Ci svegliamo la mattina e mangiamo bene seguiti dal nutrizionista, poi abbiamo il fisioterapista, l’osteopata, i tecnici qualificati, tutto nei centri sportivi dell’Arma che sono di altissimo livello. Grazie al Centro Sportivo Carabinieri io posso allenarmi nel miglior modo possibile, ma anche stare tranquillo psicologicamente perché è come se stessi in famiglia con loro in quanto ti sostengono sempre, ti elogiano e premiano facendoti sentire importante per loro”.

Sei molto attivo nel sociale; cosa trasmetti ai giovani in difficoltà e cosa impari dalle loro storie di vita? “Sono sempre stato molto attivo nel sociale, e dopo l’oro olimpico con la visibilità aumentata ho iniziato ad impegnarmi ancora di più. Attualmente sono molto impegnato con la campionessa mondiale di kickboxing Gloria Peritore, e altre atlete, con l’associazione “The Shadow Project” che si batte contro la violenza sulle donne. Grazie al Karate conosco gli occhi di chi sta in difficoltà, di chi accusa dei problemi, e a loro trasmetto fiducia e speranza, dimostrando con il mio esempio che siamo artefici del nostro destino e nessuno può dirci chi siamo e chi non siamo. Poi mi impegno molto anche con i giovani nella lotta al bullismo e alla violenza giovanile. Gli spiego che anche se sei sovrappeso, come lo ero io, se sei timido e introverso, non devi mai pensare di non essere adatto a questa società. Da loro, invece, imparo che anche se ce l’ho fatta a realizzare il mio sogno non devo mai dimenticarmi le difficoltà che ho avuto e chi ero”.

Pochi giorni fa la parola sport è stata inserita nella Costituzione italiana con questa frase: «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Cosa ne pensi di questo traguardo raggiunto in Italia? “Penso che è arrivata troppo tardi questa legge, ma comunque è una vittoria per lo sport italiano da festeggiare tutti insieme perché cambierà molte cose soprattutto per le generazioni future”.

Sei stato più volte coinvolto dal nostro Ente, l’ASI, come testimonial attivo in stage di allenamento. Che esperienze sono quelle fatte in queste giornate con ASI? “Con ASI mi sono sempre trovato benissimo. Sia come umanità che sul lato tecnico, hanno sempre organizzato seminari di alto livello. Sono persone con le quali sono sempre in contatto e orgoglioso di lavorarci, tanto che molto presto parteciperò ad un altro seminario. E’ un grande Ente di promozione sportiva, strutturato molto bene, con il settore karate in forte crescita, quindi è un piacere essere coinvolto da loro nelle diverse attività di formazione”.


Trionfo del Karate a Parabiago con Luigi Busà: tre giorni di impegno, allenamento e ispirazione.

Una tre giorni di stage a Parabiago in cui il karateka Luigi Busà, medaglia d’oro ai Giochi di Tokyo 2020, ha allenato e tenuto dimostrazioni di Karate per le associazioni di arti marziali affiliate ASI provenienti da tutto il territorio. Lo stage, originariamente a numero chiuso, ha poi aperto le porte alle altre società che si sono mostrate desiderose di raggiungere la manifestazione dal Piemonte, Friuli, Veneto, Trentino e anche dal Lazio per un totale di oltre quattrocento partecipanti, la maggior parte giovanissimi.
L’evento è stato organizzato dal Comitato ASI di Mantova e dall’Asd Kankudojo che, per l’occasione, ha festeggiato i suoi primi trent’anni di vita come associazione sportiva di arti marziali. È stata questa l’occasione perfetta per mettere in moto quel processo virtuoso che investe gli enti di promozione sportiva finalizzato alla consapevolezza della pratica sportiva soprattutto nelle nuove generazioni guidate da chi dello sport ne ha fatto la sua ragione di vita.
Prima l’allenamento con bambini e ragazzi, poi la volta degli adulti. Il campione olimpico ha dedicato particolare attenzione ai giovanissimi, coinvolgendoli in giochi da combattimento alla scoperta dei valori fondamentali del karate. Durante il seminario, Busà ha condiviso il percorso che lo ha condotto alla conquista della medaglia d’oro olimpica, raccontando la sua storia di crescita personale che ha portato un bambino pieno di rabbia e paure a realizzare un sogno all’apparenza impossibile.
La sera presso la biblioteca civica di Parabiago si è tenuto anche il convegno di presentazione del libro scritto da Luigi Busà “La forza e il controllo. Lezioni di vita sul tatami”, edito da Loganesi. Nel libro si parla dell’atleta, ovviamente. Ma nel parlare dell’atleta si racconta anche la volontà che tutti noi dovremmo avere nel perseguire un sogno e permettere che questo si realizzi.