07.04.2021

Sportivando

La passione popolare disinnesca la super Lega. Tifosi come fantocci: no grazie

Dalla rivista Primato, aprile 2021.

Il sogno nel Calcio non esiste più da tempo. Lo si può trovate in tante belle parole, che però stanno in piedi solo grazie ad una cornice di ipocrisia, di opinioni e ideali sbandierati ma ormai non più posseduti. Personaggi e Istituzioni, che da anni hanno più o meno colpevolmente alimentato il Sistema, hanno trovato, come d’incanto, unità di intenti perfezionando una bella operazione di immagine. Fiutando immediatamente l’aria che tirava. Anche questo è mestiere. Tutti contro la Super League, il progetto esclusivo ed escludente che doveva inizialmente prevedere 15 squadre, poi si è costituito con 12, e poi si è sciolto come neve al sole, tanto che i più irriducibili hanno finito per ricordare Enzo, il ragazzotto interpretato da Carlo Verdone in ‘Un sacco bello’ alla ricerca disperata di amici da portare in un’improbabile vacanza, causa la sua fissazione per le fanciulle polacche che voleva conquistare ricorrendo alle calze di nylon, alle biro e alla sua coupè fiammante (Per inciso. Bene che non sia passata questa Super League. Questo malconcio Sistema, contribuisce comunque a reggere, il resto di un apparato composto anche da discipline minori e lo sport cosiddetto di base).
Finita in un battito di ciglia, la Super League, ecco subito le frasi a effetto diventate titoloni di giornali: “Il Calcio è salvo” e, con esso, sono stati “Salvati gli interessi dei tifosi”. A gridarle ai quattro venti, FIFA e UEFA in testa e, poi, presidenti, allenatori, ex giocatori, procuratori, nani, ballerine di un bel circo mediatico… tutti uniti per salvare un sogno. Che, però, non esiste più. E già da tempo.
L’ipocrisia su una competizione nata male e finita peggio, stimolano un’analisi di pancia. Forse da bar dello sport, potrebbe sostenere qualcuno ma, stavolta, è proprio questo che vogliamo. Ricordare un Calcio che non c’è più. Quello del bar della piazza di Brescello o di una qualunque cittadina di provincia o di una grande città, teatri e custodi del rito della radiolina, di un buon bicchiere di vino bianco o di un Campari, della schedina in mano, del Calcio mercato consumato alla buona da esperti di tutte le età, dell’elenco redatto (con cura scientifica, intorno al tavolino tondo di alluminio) sulla formazione di tutti i tempi di una squadra o dell’altra. Quello della domenica della brava gente.
Ma, andando oltre, FIFA e UEFA hanno scatenato la loro potenza di fuoco contro la totale mancanza di equità della Super League. Condivisibile, se non fosse per il fatto che ormai il concetto di equità è totalmente o quasi annacquato. Guardiamo le finali di Champions dell’ultimo decennio e ci interroghiamo. Dov’è il sogno? Ci sono arrivate quasi sempre squadre – fantastiche, intendiamoci – potentissime, figlie di una influenza economica spaventosa, peraltro proveniente da mondi in cui il Calcio si è affacciato cento anni più tardi che in Europa. Nella lotta alla Super League, ad esempio, il paladino del ‘Calcio tradizionale’, quello della gente, è stato Nasser Al Khelaifi, il qatariota proprietario del Paris Saint-Germain, subito nominato Presidente dell’ECA (l’associazione dei club europei) al posto del dimissionario Andrea Agnelli. Ma il Psg è la squadra che abbattuto il muro dei duecento milioni di euro per comprare Neymar…
E allora dov’è il sogno? Non esiste più. Nel Calcio il denaro ha sempre avuto la sua importanza, ma adesso brutalizza lo sport. Vero, c’è una chance per tutti, persino per la squadra di San Marino che partecipa ai preliminari mentre gli altri sono al mare. Ma il sogno no. Ormai è impossibile vedere la Steaua Bucarest campione d’Europa grazie ai quattro rigori in fila parati dal portiere Ducadam. Impossibile vedere gli svedesi del Malmoe andare in finale, battuti dal Nottingham Forest di quei tifosi della working class dell’industria del carbone che esaltavano la squadra e disprezzavano la politica di Margaret Thatcher.
Il Calcio è stato già scippato alla tradizione anche da coloro che sostengono di aver difeso gli interessi degli appassionati ai quali hanno invece già sottratto – pezzo dopo pezzo – identità e passione, che hanno fatto sedere in stadi scomodi o che hanno incollato davanti alla Tv per un Calcio definito affettuosamente ‘spezzatino’, che hanno visto divaricarsi la forbice tra club ricchi e poveri, che hanno visto i propri eroi allontanarsi sempre di più, tra centri sportivi blindati e campi da gioco in cui anche le panchine sono oscurate da pvc pubblicitari che proteggono una privacy della quale il Calcio non avrebbe proprio bisogno. Tifosi ai quali è stata strappata dal petto la voglia di vivere un Calcio a misura di famiglia: troppo costoso il biglietto – persino troppo difficoltoso dargli la caccia – e troppo cara anche l’acqua minerale, mezzo litro al prezzo di una cassa da sei bottiglie al supermercato sotto casa. Il Borghetti, invece, non c’è più come l’impermeabile a 1000 lire con il colore delle squadre e come il numero 9 che voleva dire centravanti e il 7 l’ala destra…
La bomba Superlega non è più scandalosa di quanto avvenuto fino ad oggi. Ha solo funzionato da catalizzatore e minacciato di velocizzare un processo iniziato da tempo, quello di tifosi sempre più foto- grafie incollate su cartoni da posizionare sulle sedie dello stadio, come accaduto in tempi di Covid. E delle ‘squadre del cuore’ sempre più e solo un brand che persegue la massima redditività possibile. Ancora non le ragazze pon pon al posto delle curve, ma ci arriveremo…
Il faro guida, dei cantori della tradizione e dei difensori d’ufficio dei tifosi, FIFA e UEFA in primis, è stato, a nostro avviso, pura demagogia, atteggiamento teso a ottenere il più ampio consenso popolare facendo leva sui sentimenti irrazionali e i bisogni latenti delle masse.
Pensiamo che il buon governo dovrebbe essere invece pratica quotidiana, che viene da lontano, coltivato – in silenzio – anche quando ci sarebbe da contrastare interessi politici ed economici, campiona- ti gonfiati nel numero di squadre, il moltiplicarsi di tornei, afflusso di stranieri con poco limite e giudizio e con l’effetto di comprimere i settori giovanili, costi gonfiati e tanto altro.
Un buio fitto, spezzato da un lumicino di speranza. La ferma protesta dei tifosi, ultimo spazio di purezza. Che sono rimontati in macchina, solo per un attimo, ritrovando antichi spazi di protagonismo, per tirare il freno a mano. E ci piace pensare che in Inghilterra, proprio dove è nato il Calcio, i club abbiano fatto marcia indietro sotto la spinta dei propri sostenitori e – vedere il Liverpool – anche dei propri giocatori. Ci piace pensarlo, magari solo per un attimo. Da vecchi romantici. Con la voglia di illuderci; quanto basta. Sognando il Malmoe, il Nottingham, le bandiere, le famiglie, il bar di Brescello e quel Calcio che univa tutti. Anche Camillo e Peppone, due anime agli antipodi di un’epoca che non c’è più.

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