07.11.2021
Il paradosso dello sport italiano
Dalla rivista Primato, novembre-dicembre 2021.
Come noto a molti di voi, Primato nasce per approfondire fatti di politica sportiva, con lo scopo di stimolare un confronto e la speranza di contribuire a far maturare la cultura sportiva italiana.
É proprio con questo spirito che, in chiusura di un anno delicato come questo, ritengo sia utile focalizzare l’attenzione sulla rappresentazione dei rapporti CONI-Governo riportata da alcune testate giornalistiche.
Si parla di “scontro”.
Ad una lettura superficiale questa notizia potrebbe apparire solo come la descrizione della prosecuzione di una tensione originata dall’approvazione della riforma dello sport dello scorso 2019 con cui il Comitato é stato ricondotto prevalentemente all’organizzazione del movimento olimpico e privato della possibilità di distribuire direttamente le risorse pubbliche destinante dallo Stato all’intero movimento. In realtà, il fatto che i principali organi dell’informazione considerino (e descrivano) in questi termini i rapporti tra i due soggetti, la dice lunga di quanto sfugga ai più (o peggio sia interiorizzata) una situazione paradossale.
Già perché il CONI vorrebbe ripristinare uno stato di cose nate per motivi particolari, senza accorgersi di due elementi peculiari che indeboliscono le sue pretese.
Uno: l’anomalia dell’identità. Il Comitato è un ente pubblico che oggi si contrappone all’indirizzo politico delineato da un altro organo pubblico (!!!) e si richiama al CIO che è organo sovranazionale e privato. Lo fa in modo esplicito, come possiamo vedere dai principi richiamati nei bandi dallo stesso emanati (si veda ad esempio quello 0001 del 2001 dove nelle premesse si sceglie di richiamare l’arti- colo 1 comma 4 del Decreto Legge n.5/2001 convertito con Legge n.43/2021, quello in cui si prevede che il “ … CONI con proprio atto nell’ambito dell’autonomia organizzativa e in coerenza agli standard di indipendenza e autonomia previsti dal Comitato olimpico internazionale…”).
Pur volendo scivolare sul fatto che sul piano istituzionale due soggetti rappresentanti lo Stato sarebbero tenuti a portarsi rispet- to e a cercare una composizione interna delle posizioni, occorre constatare come il CONI, soggetto pubblico non economico finanziato attraverso un meccanismo prevalentemente di Stato, sia un unicum nel panorama sportivo mondiale. Già perché soggetti identici per mission, hanno DNA privato e operano in forme diverse. Si pensi al comitato olimpico statunitense, capace di portare grandi successi sportivi al Paese che rappresenta. Società senza scopo di lucro costituita a livello federale, la USOPC non riceve alcun contributo dall’apparato pubblico, ma si sostiene grazie alla commercializzazione dei diritti di marchio e alle entrate derivanti da investimenti.
Eppure, il nostro Comitato pretende di avere autonomia amministrativa e decisionale, senza rendersi conto che non è affatto automatico e scontato l’automatismo tra il contributo pubblico ricevuto e l’autodeterminazione elettiva di cui gode, legittimata nei principi dell’ordinamento sportivo internazionale.
Due: il secondo elemento che rende paradossali le pretese del CONI è dato dall’anomalia del contesto. Oggi sono venuti meno i presupposti logici delle pretese del Comitato. La sua centralità nel modello italiano è stato il prodotto di un contesto socio-culturale post bellico. Allora si decise di trasferire, dallo Stato defascistizzato, ad un nascente Comitato il compito di organizzare e promuovere lo sport per evitare che potesse essere incluso in logiche di parte. La centralità e la libertà del CONI non fu, però, solo il prodotto di una scelta politica. Si resse anche sulla capacità di finanziamento dell’intero sistema sportivo generata dal Totocalcio.
Pertanto, appare evidente come quei motivi particolari, per cui il CONI diventava il perno del modello italico, oggi non esistano più. Non solo è mutata la geografia socio-politica, ma il Comitato non è stato in grado di proteggere dai cambiamenti il Totocalcio, la sua creatura, la sua cassaforte. Aveva l’Enalotto e lo ha ceduto per poche risorse, facendolo diventare la lotteria più prolifica d’Italia. Così facendo, con questo difetto di visione ad ampio spettro, il CONI ha perso un elemento fondamentale per auto-determinarsi.
Quindi, sebbene oggi si parli del ritorno della fortunata schedina nell’anno nuovo, appare evidente che la sostanza di questo revival sia profondamente diversa, assieme alle sue conseguenze.
La pretesa di continuare ad esercitare un potere indipendentemente dallo Stato, e in raccordo con principi internazionali, è quanto mai anacronistica, oltre che dannosa.
Se vogliamo davvero che il modello italiano torni ad essere competitivo, dobbiamo comprendere che da centralista e scarsamente propenso alla condivisione e al cambiamento si debba approdare a qualcosa di diverso. Il coinvolgimento dello Stato in attività di indirizzo sportivo è per noi fondamentale. Al netto delle diversità sul piano politico-culturale, i Paesi che ottengono i maggiori successi sportivi sono quelli in cui l’attività motoria è parte del sistema educativo dai livelli formativi iniziali. Quelli in cui l’infrastruttura sportiva è sviluppata in modo omogeneo e capillare.
Lo Stato non è un “male necessario” che lo sport italiano deve sopportare. É un partner con cui impostare progetti tali da garantire una crescita di tutti gli attori protagonisti. Siamo sicuri che anche il CONI guidato da Malagó arriverà a maturare questa convinzione. Per coerenza rispetto ad elementi di forma e di sostanza.
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