08.04.2022

Racconti di sport

“È morto il Torino… piansi come un bambino”. La storia della radio – Parte I

La rubrica curata dal Direttore di Primato e decano dei giornalisti italiani.

Si chiamava Sorella Radio. Non solo perché portava il soccorso fraterno degli italiani ai luoghi colpiti da alluvioni, frane e terremoti. (Per non dire della guerra consumata prima del 1945 – avevo 5 anni – quando alle voci stentoree del regime s’aggiungevano quelle insinuanti e maligne di Radio Londra. Si capisce che quel tambureggiare da congiurati <ta-ta-ta-tan)> non mi piaceva, ma dovete capire: in casa mia piaceva ascoltare Mario Appelius, quello che esprimeva un giudizio netto sul nemico: “Dio stramaledica gli inglesi”). Dopo la guerra, finalmente, cambiai programmi. Fin da ragazzino mi misi all’ascolto di Natalino Otto, Giacomo Rondinella, Albertone che faceva Mariopio e il compagnuccio della parrocchietta e Silvio Gigli col Botta e Risposta e – appunto – Sorella Radio. Le code della guerra persistevano nella programmazione musicale, base Napoli, allora capitale della musica, che trasmetteva via etere i postumi della liberazione firmata dagli americani (“Black and Johnny a passeggio vanno/per le vie della città/ un sorriso qua/ un sorriso lá/ ci vedremo a capodanno”- B & J erano naturalmente americani, un negro e un bianco, almeno a quei tempi diceva cosí anche Curzio Malaparte) o i primordi della democrazia conquistata (“È arrivata al Parlamento – ma chi, ma chi, ma chi – l’ortolana di Sorrento Concettina Capurí). Poi, finalmente, radiosport.

In principio era il ciclismo, Coppi e Bartali –  anche l’epurato Fiorenzo Magni – e la voce era Mario Ferretti, che non amavo per quel suo “un uomo solo al comando…” dedicato a Fausto; perché ero bartaliano convinto, appassionato, e una volta, quando il Giro passò da Rimini, mi feci fare un autografo da Gino, e trent’anni dopo, quando il Giro ripassó da Rimini, eravamo praticamente colleghi, lui a far pubblicità per l’Eliolona lenzuola e cuscini, io nella carovana con la “Gazzetta dello Sport”.

La radio del Giro allora era epica, con lei si scavalcavano le montagne, si affrontavano strade infangate e innevate o le lunghe vie bianche di polvere, niente autostrade, io stavo a Rimini, fra l’Emilia e la Flaminia, arterie principali lungo le quali si lanciava la corsa fascinosa. Tanto epica, la nuova radio, che venne il Quarantotto. Innanzitutto, l’attentato a Togliatti. Alle 11:30 del 14 luglio 1948 Togliatti fu colpito da tre colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre usciva da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti. L’autore dell’attentato era Antonio Pallante, un giovane esaltato che provocò l’immediata minaccia di colpo di stato. I comunisti che già marciavano verso Abbadia San Salvatore – quel paese dove s’era fermata la Marcia su Roma – furono fermati dalla fulminante vittoria di Ginettaccio al Tour ventiquattr’ore dopo, il 15 luglio, arrivò il grazie di Palmiro dal letto di dolore e la rivoluzione abortì. La radio e il ciclismo furono un’accoppiata leggendaria, non riuscì a disturbarla neppure l’avvento della tivú con il magnifico “Processo alla tappa” di Sergio Zavoli che quand’eravamo a Rimini, nel dopoguerra, si era addestrato con radiocronache…private della Rimini Calcio. Il pallone nella Radio Eiar aveva fatto la sua parte, naturalmente, con la narrazione di due Mondiali vinti dall’Italia di Vittorio Pozzo nel 1934 e nel ‘38: la voce e lo stile di Nicoló Carosio anticiparono e scavalcarono la Seconda Guerra Mondiale, arrivando fino a Messico Settanta dove per una battutaccia (in realtà per ragioni politiche) fu eliminato dalla Rai.

Nonostante la mia dedizione al calcio sono convinto che la mia discreta cultura e il mio modesto scrivere furono aiutati dalle cronache ciclistiche firmate da Vasco Pratolini, Dino Buzzati, Orio Vergani, Alfonso Gatto, Indro Montanelli, Giorgio Fattori, Giuseppe Ambrosini, Luigi Chierici, Gianni Brera, Giovanni Mosca, quest’ultimo impiegato anche in radio come altri succitati colleghi. E la mia passione fu Gino Bartali anche se negli anni della maturità dovetti riconoscere l’alta classe di Faustó il Campionissimo. Torno con la memoria – che per me è un elisir di lunga vita – al 14 luglio del ‘48, all’attentato al leader comunista: in poche ore i cantastorie, che allora giravano città e paesi distribuendo i pianeti della fortuna, misero insieme una cantata dolente e appassionata: “Le ore undici del quattordici luglio/ dalla Camera usciva Togliatti/quattro colpi gli furon sparati/ da uno studente vile e senza cuor”. Gli annunci radio, continui, allarmanti, finirono per fondersi con la radiocronaca del Tour, con il racconto della fuga di Bartali sull’Izoard, i 18 minuti di ritardo di Bobet, praticamente l’annuncio della clamorosa vittoria che Gino avrebbe colto il 16 dopo la tappa Briançon – Aix Les Bains. Fu così che Bartali, amato dal Papa, sollecitato a vincere – si seppe – dal democristiano De Gasperi per distrarre gli italiani dall’attentato a Togliatti, diventò salvatore della Patria, in odore di santità. Tutto vero, peraltro. Salvo un dettaglio che mi rivelò Emmanuele Rocco, lo spilungone notista politico del Tg2 di Barbato che nel ‘48 era portavoce del leader comunista: “Togliatti ammirò l’impresa di Bartali, lo ringraziò ma non gradì che lo si dicesse bartaliano: era un acceso sostenitore di Coppi”. (Non amavo Palmiro, fui felice di essere bartaliano).

Parlai più d’una volta con Bartali della sua impresa, non se ne fece mai grande, cambiava argomento. Gino era di una umiltà sconcertante, in contrasto col suo carattere spinoso, da brontolone. L’ultima volta che gli parlai, fine anni Novanta, fu per invitarlo a ritirare il Premio San Silvestro d’Oro a San Prospero, nel modenese, luogo di alta cucina: il titolare – patito di ciclismo e patron del premio – era il fratello del mitico Zeffirino di Genova che invece amava la boxe (lì conobbi Bruno Arcari e il suo manager Rocco Agostino). Lo chiamai: – Gino, ti aspettiamo tutti a San Prospero, al San Silvestro, ci sei già stato, si mangia bene, facciamo una bella serata. Devo mandare a prenderti?

“No, grazie, non preoccuparti, vengo in macchina…piuttosto, devi farmi un favore: non posso girare da solo, verrei con Adriana…”.

-Benissimo, ci fa piacere ospitare anche tua moglie…

Scusami, un’altra cosa: potete ospitarci la notte in albergo? Niente lusso, mi raccomando…”. Venne a Mirandola, naturalmente gratis. Mi sembra di risentirlo, Gino, e mi viene un nodo alla gola. Come quando sento Paolo Conte cantare “Oh, quanta strada nei miei sandali/ Quanta ne avrà fatta Bartali / Quel naso triste come una salita /Quegli occhi allegri da italiano in gita…”.

Che giorni, cari amici, attaccato alla RadioSafar del salottino, grande come un Frigidaire, a sentire le cronache delle corse. Fino al 4 maggio del 1949 quando verso le 5 del pomeriggio, mentre con i miei compagni giocavo a pallone nel campino davanti a casa, mia mamma s’affacció alla finestra e gridó “Italo, Italo, é morto il Torino!!!”. Mi fermai, fulminato. E piansi. Come un bambino.

1) Continua

 

 

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