16.11.2023
Il ‘Quarto Potere’ non c’è più
Negli anni Cinquanta e Sessanta, i Poteri erano quattro, legislativo, esecutivo, giudiziario, il quarto la stampa. Oggi, con i giornali che vedono calare a picco le vendite, con teneri virgulti a cui danno cinque euro a pezzo, nessuno batte più il marciapiedi a caccia di notizie ma la tastiera che li fa viaggiare in internet, come una volta in terza classe…
E, anche il peggior giornalista, è comunque meglio lui di uno di quelli realizzati all’Universitá…
Confesso. Ne ho messi in circolazione un centinaio. I migliori. Anche i peggiori, qualche volta, quando servivano. Giornalisti, dico. Ché anche il peggior giornalista – quello senza ambizioni, quello che va dove lo mandi e torna sempre almeno con un bocconcino, mai un piatto forte – è comunque meglio lui di uno di quelli realizzati all’Università su indicazione di Mimmo De Masi, il re della comunicazione, spacciatore di persone erudite, talvolta colte, raramente giornalisti. Baccalà, come dicevamo a Livorno dei cadetti della Vespucci che andavano in giro con quella divisa/armatura di stoffa che sembrava una crosta di sale blu, pessima imitazione del marinaio Braccio di Ferro. E con lo spadino al fianco. Senza spinaci. Come i giornalisti demasiani con l’iPad ma senza notizie.
Mi ha scritto una delle mie vittime. Preciso: un tonto green ha scritto (male) di me dicendomi di destra, talmente destro e autoritario che in Redazione venivo definito – secondo lui – “il federale” ma il tontogreen non sa che in realtà mi chiamavano – absit iniuria verbo – il Duce. Tanto per chiarire il ruolo, caro coglione.
Sì, mi ha scritto una delle tante donne che ho avviato al giornalismo sportivo – primissima fra le prime la mitica Rosanna Marani – dicendosi nostalgica di me: “Direttore caro, leggendo il tuo pezzo di oggi non so per cosa fare i complimenti. Per l’instancabile voglia di scrivere, per la lucidità della memoria, per essere prova di un giornalismo scomparso e meraviglioso, per le curiosità dell’altro mondo, per la passione, per l’entusiasmo… La lista è lunga!”. È diventata scrittrice di libri guarda un po’ leggibili, e con storie di sentimenti, amore e rabbia. Ne sono orgoglioso.
Nostalgica, Lei. Come me. Abbiamo perduto cuore e potere. Dicevo a un potenziale allievo: “Lo sai com’era chiamata la nostra professione? Quarto potere. Non lo sapevi? Fa nulla! Tanto il potere non c’è più”.
Mi spiego: ai miei tempi, anni Cinquanta/Sessanta, i Poteri erano quattro, legislativo, esecutivo, giudiziario, il quarto la stampa, la libera informazione. E se dovevo dar retta al mio primo direttore, anzi professore, Giovanni Spadolini, in testa al mondo c’eravamo noi, prima del Prefetto, del Generale, del Procuratore, del Vescovo, come si doveva scrivere nella cronaca bianca. L’Informazione? Libera sì, anche di sbagliare. Da De Masi in poi c’è la Comunicazione. Per tutti gli orfani di un mestiere infaustamente diventato professione, obbligatoriamente anche per me che dal Cinquantotto ero iscritto all’Albo inventato da colui che prima della guerra ci controllava, è vero, ma pagandoci benissimo. Dopo, dal 1963, con l’Ordine, molti salamelecchi e lecchini ma pochi soldi. Oggi, poi, ai teneri virgulti gli danno cinque euro a pezzo, anche tre, e quelli non battono più il marciapiedi a caccia di notizie ma la tastiera che li fa viaggiare in internet, come una volta in terza classe, col culo sul duro e lo stomaco pieno di fame. Come la testa.
Chi mi ha chiesto questo pezzo si è richiamato a miei compagni di strada come Brera, Tosatti, Beha, passando, senza pensarlo, da un decennio all’altro. Giusto per far sapere potrei aggiungere tanti nomi, come Fattori, Biagi, Arpino, Zanetti, Palumbo, tanti che ho già rammentato su queste pagine e che hanno lasciato non dico il vuoto dietro di sé nella mente e nell’anima degli eredi ma nei giornali che ormai nessuno legge o rispetta. Oggi se ne vendono tanti quanti vent’anni fa ne vendeva da solo il Corriere della Sera, o Repubblica, dove io stesso ho cominciato con Scalfari e mi son fermato a Ezio Mauro, e se volete con Sconcerti e mi son fermato a Mura.
Dopo, Google, blog, radio deturpata, televisione spesso da macelleria, opinionisti da piedi o da martello, analfabeti d’andata e di ritorno, castigo per chi vorrebbe tornare ai Padri e trema per i figli. E per soddisfare la mia voglia d’eternità – che vorrei trasmettere ai giovani aspiranti giornalisti ancor credenti in Mercurio, in Pindaro e in Montanelli – torno al Sessantotto e invoco l’Immaginazione al Potere. Tanto agli editori perduti non costa niente.
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