Due ragazzi, due racchette, un tavolo

Il cinema di animazione ha visto sempre più spesso protagonista lo sport. PingPong è un lavoro a puntate del 2014 basata sul manga, i fumetti giapponesi, prodotto tra il 1996 e il 1997 e scritto dal mangaka (il disegnatore di fumetti manga) Taiyo Matsumoto e diretto da Masaaki. 

Oltre a lungometraggi e serie televisive, il variegato mondo del cinema è composto anche dalle opere di animazione, di cui in particolare il genere “anime” sta vivendo un periodo molto florido anche qui in Occidente.
Tra i vari stili narrativi trattati dagli anime, vorrei parlare in questo caso dell’opera PingPong, lavoro a puntate del 2014 basata sul manga, i fumetti giapponesi, prodotto tra il 1996 e il 1997 e scritto dal mangaka (il disegnatore di fumetti manga) Taiyo Matsumoto e diretto da Masaaki.
L’anime in questione traspone su video le avventure di Tsukimoto (soprannominato ironicamente Smile) e Hoshino (a cui viene affibbiato il nomignolo Peko). I due ragazzi, amici fin dall’infanzia e appassionati di tennis tavolo, sono il sole e la luna: Smile è molto taciturno e introverso, mentre Peko è narcisista e chiacchierone. Entrambi sono bravi in questa disciplina sportiva, ma Smile sembra non comprendere appieno il suo talento nel tennis tavolo e preferisce rimanere in disparte, giocando anche spesso al di sotto delle sue reali capacità per permettere all’amico di vincere la maggior parte delle partite.
A cambiare questo status di cose, l’arrivo dello studente cinese Kong Wenge, espulso dalla sua nazionale e deciso a dimostrare all’estero il suo talento. Peko, ovviamente, sfida subito il nuovo arrivato ma viene sconfitto da quest’ultimo che aveva studiato a fondo il suo stile di gioco e compreso i punti deboli. A quel punto Wenge, che aveva osservato anche Smile, chiede di poter giocare anche contro su di lui, e finirà per batterlo.

In seguito a questo evento, l’anziano allenatore della scuola frequentata dai due giovani, Jō Koizumi – soprannominato Butterfly Joe – comprende il talento di Smile e, seppur con metodi poco ortodossi e spesso eccessivi (preparandogli per esempio il pranzo ogni giorno), comincia a forgiarne il carattere e lo stile di gioco. Il giovane introverso, ovviamente, non è felice di queste attenzioni non richieste, richiudendosi spesso in un suo mondo immaginario con supereroi e robot pronti ad aiutarlo alla sua frase “Appari, Eroe!”.
Seppur attraverso un gioco a un primo sguardo semplice, la trama di PingPong è in realtà stratificata e complessa: a partire dall’amicizia tra Smile, che per la sua timidezza era da piccolo spesso vittima di bullismo, e Peko, che con il suo carisma riesce a fermare le angherie dei bulli sull’amico. Allo studio delle varie tecniche utilizzate dai giocatori, a quanto di profondo si possa celare dietro uno stile più difensivo o più propenso all’attacco, ai sentimenti che un atleta possa provare prima, durante e dopo una partita.
Sotto le vesti di un anime apparentemente spokon (termine giapponese per indicare manga e anime a carattere sportivo), si nasconde infatti molto di più: il regista Yuasa, nonostante un irrisorio budget a disposizione e un basso valore artistico del soggetto, dimostra tutta la sua bravura e una grande padronanza del mezzo tanto che nel 2015 vinse il premio Animazione dell’anno ai Tokyo Anime Awards.
Con un tratto grezzo e minimalista non si fa dello sport il cuore della vicenda, ma piuttosto il ping-pong (o tennis tavolo) diventa un pretesto per intrecciare destini e psicologie dei suoi personaggi, vedendoli crescere e svilupparsi. Ci si concentra inoltre sull’abolizione del concetto che nello sport, o in generale nella vita, basti l’impegno per arrivare alla vittoria, una lezione per i suoi personaggi: mettersi in gioco fino al game finale, tentando di tutto per raggiungere lo scopo prefissato.

 

Anime, l’eterogeneo mondo dell’animazione giapponese

Con anime si intende quell’eterogeneo universo che comprende le opere di animazione giapponese. Nato nel lontano 1917, è negli anni Sessanta con la serie Astro Boy del mangaka Osamu Tezuka che l’anime vede gettare le basi per diventare quel medium sempre più apprezzato. La particolarità di Astro Boy fu in primis di essere realizzata dallo studio ove militava il suo stesso autore, Tezuka, nonché di essere la prima serie a presentare puntate di trenta minuti.
Dalla metà degli Anni 60 si assistette al cosiddetto anime boom, con la nascita di prodotti per un pubblico sempre più variegato: dai robotici (con le saghe dei super robot e il franchise di Gundam), a quelli fantasy e fiabeschi, per approdare poi nel 1975 agli adattamenti di romanzi occidentali per ragazzi e alla creazione di opere indirizzate anche al comparto femminile, un’audience in crescita.
Lo scoppio della bolla speculativa giapponese di inizio anni 90 ebbe ovviamente un impatto anche su questo medium, sfociando in produzioni caratterizzate da una maggiore autorialità, un taglio più vicino alla regia cinematografica e una crescita di interesse dell’Occidente verso questi prodotti.

 

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