09.04.2025
Fisco
La violenza nello sport: feriti, non solo nel corpo
Negli ultimi anni, una realtà sconcertante, fino ad ora rimasta sommersa, ha scosso le fondamenta del mondo sportivo: quella degli abusi e delle violenze. Alcuni episodi eclatanti, come quello che ha coinvolto le Farfalle della ginnastica ritmica, hanno scoperchiato un abisso nel quale lo sport viene snaturato e perde il suo vero significato. Le vittime di abusi e violenze nello sport portano con sé un fardello pesante, fatto di ferite che vanno ben oltre il fisico e che segnano l’anima, l’autostima e la fiducia nel prossimo. Queste ferite non conoscono distinzioni, colpendo sia gli atleti di alto livello che i giovani nelle piccole società sportive e nelle palestre di quartiere, dove l’entusiasmo e la speranza dovrebbero essere gli unici protagonisti.
Il ruolo del Safeguarding
Per contrastare la violenza e gli abusi e costruire un futuro in cui lo sport torni ad essere solo sinonimo di sicurezza e rispetto, il Safeguarding si rivela un pilastro fondamentale. Spesso associamo l’abuso alla sola violenza fisica, ma la sua portata è ben più ampia, le forme in cui la violenza si manifesta possono infatti essere visibili, ma anche insidiose, difficili da percepire o riconoscere come tali, sia da parte dell’individuo che manifesta il comportamento, sia da parte di chi lo subisce. L’intenzionalità non è un fattore determinante: non importa se chi abusa lo fa intenzionalmente o meno, il danno per la vittima è comunque reale. È necessario prestare molta attenzione, poiché esistono molti comportamenti che vengono percepiti come “non violenti”, addirittura affettuosi, ma che in alcuni casi possono configurare vere e proprie forme di abuso, soprattutto se ci si rivolge a soggetti minorenni o comunque vulnerabili. Quando parliamo di abuso, quindi, ci riferiamo anche a tutti quei comportamenti e gesti comunque traumatici, dannosi o inappropriati.
Le forme di abuso nello sport
Ma, quali possono essere, dunque, le forme di abuso e violenza nelle quali possiamo maggiormente imbatterci nell’ambiente sportivo?
- Abuso psicologico: caratterizzato da qualsiasi atto tale da minare l’autostima, l’integrità o il benessere psicologico dell’individuo, sia esso di grave o minore entità.
- Abuso fisico: qualsiasi azione che provochi o abbia l’intenzione di provocare dolore fisico, lesioni o sofferenza.
- Molestia e/o abuso sessuale: rientra in questa categoria qualsiasi attività con connotazione sessuale, sia essa con contatto o meno, se non consensuale, ma imposta, anche in virtù di una posizione di potere.
- Negligenza: parliamo di negligenza quando ci troviamo davanti al mancato rispetto dei bisogni fondamentali dell’individuo, come ad esempio la salute e la sicurezza.
- Bullismo e cyberbullismo: comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo individuo o più soggetti possono mettere in atto personalmente o attraverso i social, nei confronti di un altro individuo.
- Comportamenti discriminatori: qualsiasi comportamento finalizzato a conseguire un effetto discriminatorio basato su etnia, colore, caratteristiche fisiche, genere, status, prestazioni, religione, convinzioni personali, disabilità età orientamento sessuale etc.
Azioni concrete per un ambiente sportivo sicuro
Affinché lo sport possa essere praticato in un contesto sicuro e protetto, è necessario adottare misure concrete. Il D. Lgs. 39/2021 prevede l’implementazione di Modelli Organizzativi di Gestione e Controllo (MOGC), che includono:
✔ Politiche e procedure chiare ✔ Formazione del personale ✔ Creazione di canali di segnalazione sicuri ✔ Collaborazione con le autorità competenti ✔ Adozione di un Codice di Condotta utile ad orientare comportamenti e pratiche.
Prevenzione e riconoscimento dei segnali d’allarme
La chiave per un futuro senza abusi risiede nella prevenzione, a tal fine, educare e sensibilizzare l’intera comunità sportiva sui valori di rispetto, inclusione e non violenza è un passo fondamentale, ma altrettanto fondamentale è imparare a riconoscere precocemente i segnali di un possibile abuso. È importante essere abili a riconoscere i campanelli d’allarme, che possono presentarcisi sotto forma di più evidenti segnali fisici (lividi, contusioni, tagli, bruciature, fratture ecc..), ma anche sotto forma di aspetti comportamentali, certamente più difficili da individuare. A questo proposito, dobbiamo prestare attenzione ad eventuali cambiamenti nelle modalità relazionali di un individuo o all’insorgere di aspetti legati ad ansia e paure, che prima non erano presenti se non in misura proporzionata alla situazione e che invece ora appaiono eccessivi e limitanti. Poter intervenire precocemente, andando a spezzare sul nascere o comunque quanto prima la dinamica di abuso, è fondamentale per minimizzarne le conseguenze fisiche e psicologiche. E’ certamente preferibile peccare per eccesso di attenzione, piuttosto che chiudere gli occhi e non prestare orecchio al grido d’aiuto silenzioso di chi ci sta intorno, soprattutto se si tratta di minori o di soggetti vulnerabili.
Il Safeguarding: un dovere morale oltre che legale
Il safeguarding non deve essere visto come un mero obbligo legale, ma come una opportunità e un dovere morale, che coinvolge tutti coloro che operano nel mondo dello sport: collaboratori sportivi, volontari, dirigenti, atleti e famiglie. Un ambiente sportivo sicuro e positivo favorisce lo sviluppo personale e sociale degli atleti, contribuendo a creare una comunità sportiva più forte e responsabile, in cui il rispetto e la sicurezza siano valori fondanti.
[ Brunetto Veronica ]
Psicologa e Psicoterapeuta
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