30.12.2016
Istituzionale
Primato: sport e fisco, un binomio essenziale, se fatto di reciprocità
Sta per finire il 2016 ed inziare un nuovo anno. Un modo per fermarsi a riflettere su quello che è stato e capire cosa sia meglio augurarsi per il futuro potrebbe essere prendere in mano l'ultimo numero di Primato, la rivista interna al nostro Ente di promozione Sportiva, e attraverso i contributi dei vari giornalisti vedere qual è la situazione attuale e come si annuncia quella che verrà.
Qui il direttore della testata SportEconomy Marcel Vulpis, riflette su come la semplice organizzazione delle attività sportive non sia più sufficiente, perché, nell'attuale contesto sociale, la “dirigenza sportiva” deve “governare” competenze anche in campo fiscale e tributario.
Buona lettura!
Lo sport nel suo complesso (un’industria a livello mondiale capace di generare 400 miliardi di euro) sta cambiando profondamente e richiede un maggiore impegno manageriale e capacità di analisi/monitoring. La semplice organizzazione delle attività sportive non è infatti più sufficiente, perché, nell'attuale contesto sociale, la “dirigenza sportiva” ha bisogno di “governare” competenze anche in campo fiscale e tributario. Aspetti, quelli fiscali e tributari, che, solo ad un occhio poco attento, possono apparire come dei semplici e banali adempimenti del tecnico di turno (sia che ci si trovi di fronte ad una SpA, sia che l’oggetto di analisi sia una ASD, da sempre soggetto-base dello sport tricolore).
Se l’attenzione cade sugli affari del nostro Paese, ci accorgiamo che lo sport contribuisce alla formazione del Prodotto interno lordo (l’indice della “ricchezza” di una economia nazionale) nella misura del 3% (includendovi anche l’indotto). Numeri/percentuali “monstre”, che possono servire a dare l’idea di come ci si trovi di fronte (anche se molti operatori continuano ad operare con tecniche e metodologie non sempre professionali), ad un vero e proprio comparto “industriale”, alla pari, per esempio, dell’abbigliamento, dell’alimentare o del siderurgico. Cambia solo l’area di interesse industriale, ma le logiche sono le stesse e anche le società sportive, soprattutto quelle professionistiche, devono muoversi con questo approccio aziendale, perché l’obiettivo finale, è bene ricordarlo, a fine stagione (sportiva) o anno solare, non è solo aver vinto un titolo o aver partecipato ai play-off, ma, nel contempo, aver raggiunto il punto di pareggio, e, nelle migliori delle ipotesi, l’utile, perché lo sport deve fare “impresa”.
E come ogni impresa del sistema contribuisce al gettito erariale dello Stato italiano. Alcuni dati pubblicati nell’ultimo report (2016) FIGC-AREL sullo stato di salute del football tricolore (e non solo) possono aiutarci ad inquadrare il contesto di riferimento. Nel 2006, per esempio, il contributo fiscale e previdenziale del calcio professionistico (ci concentriamo su questo settore, perché è anche quello con maggiori dati macro/ aggregati) è stato pari a 864,5 milioni di euro, nel 2007 si è cresciuti fino a 925,8, per poi registrare un grande balzo in avanti nel 2008 (1033,5), quando per la prima volta si è superato il tetto del miliardo di euro. Nel 2009 c’è un leggerissima flessione (1029,4), per poi proseguire, nel 2010, la corsa fino a 1069,8 mln. Nel triennio successivo, oggetto di analisi, questo “contributo” del mondo del calcio (lega A, B e Lega Pro) si è attestato sempre sopra il miliardo di euro, ma è gradualmente sceso: 1033,7 (2011), 1022,9 (2012) e 1020,6 (2013). Nel complesso, la ricerca FIGC-Fondazione AREL ha anche registrato i seguenti dati "macro": 9.923 (numero totale contribuenti : -12% rispetto al 2009); 969 (numero di contribuenti con reddito superiore ai 200 mila euro, circa il 10% del totale) e 1,250 milioni di euro (reddito da lavoro dipendente nel calcio professionistico nel 2013).
Su tutti gli altri sport non c'è un dato di sintesi "certificato", che ci possa aiutare a fare ulteriore riflessioni, ma tra addetti ai lavori, da sempre, si è conoscenza del fatto che l'impatto del gettito erariale/previdenziale supera di almeno una volta e mezzo quello del calcio. Ecco perchè lo sport meriterebbe, nel suo complesso, una maggiore attenzione da parte del Parlamento e del Governo italiano, con politiche di defiscalizzazione soprattutto nei confronti delle ASD, che sono l'ossatura dell'intero sistema. Non comprendere questo semplice aspetto vuol dire condannare, nei prossimi anni, molte di queste strutture ad una "chiusura" certa, perchè i costi di gestione, nonostante la crisi, non si sono ridotti e, quindi, serve un'attenzione dello Stato (a partire dal MEF) nei confronti di queste realtà fondamentali per la buona salute del comparto sportivo tricolore.
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